monica archibugi

ceo e founder Le Cicogne

Monica Archibugi, laureata all’Università del Sacro Cuore in Economia e gestione delle imprese e dei servizi sanitari è CEO e founder di Le Cicogne, startup che dal 2013 si occupa di mettere in contatto genitori e babysitter.

 

 In questa intervista si parla di:

  • fare impresa e problem solving
  • la scelta delle risorse umane in una startup
  • da dove partire per fare impresa
  

Ci racconta brevemente la sua storia e com’è nata la decisione di fare impresa?

È nato tutto dalla mia esperienza personale di babysitter. Durante il periodo universitario ho cercato online un sito dove poter trovare lavoro come babysitter. Allora, più di dieci anni fa, non c’erano siti dove mi sarei sentita a mio agio iscrivendomi, e quindi ho preferito il classico metodo del passaparola. Questo ha funzionato, anche se ci è voluta qualche settimana. 

Dopo qualche mese ho chiesto ai genitori per cui lavoravo di far girare il passaparola, ho anche messo qualche volantino nelle scuole vicino a casa e dopo pochi mesi ho avuto il problema opposto, ovvero avevo troppo lavoro come babysitter. Mi dispiaceva dire di no, anche perché era un periodo di crisi in cui tutti si lamentavano che non c’era lavoro. Quindi ho deciso di passare i lavori alle mie amiche.

“La prossima volta che una donna avrà un’idea penserà che può fare impresa, l’hanno fatto tante donne, perché io sono diversa? Posso farlo!” 

Monica Archibugi

Mi sono armata di foglio e penna ed ho elencato quelle maggiormente interessate. Dopo le prime 30 il quaderno non è stato più funzionale.

Mi sono informata ma per fare il sito di cui avrei avuto bisogno ho ricevuto preventivi che andavano dai 5.000 ai 50.000 euro. Quindi ho accantonato l’idea ed ho deciso di usare qualcosa che fosse gratuito e che potessero usare tutti, che in quel momento era Facebook. Ho creato un gruppo segreto dove potevo aggiungere le persone di mio interesse, ed ho iniziato a gestire questo gruppo di amiche, e amiche delle amiche.

Qualche tempo dopo un mio amico mi ha parlato delle startup e di cosa fossero. È stato in quel momento che ho pensato per la prima volta che la mia idea poteva effettivamente diventare un’azienda. E quindi ho voluto sfruttare quel momento, il fatto che ero in un’età, 21 anni, in cui ero completamente circondata da persone che erano nella mia stessa condizione ovvero erano alla ricerca di un lavoro ed erano studenti.

Ho partecipato ad un corso interuniversitario di InnovAction Lab, gratuito ma ad accesso limitato. Ho fatto un’application e una volta entrata mi si è aperto un mondo, quello delle startup, che mi ha cambiato la vita.

Per la prima volta quella che era la mia idea ha preso forma come azienda. Durante il corso ho scoperto che cos’erano le startup, come funzionava il mondo degli investimenti, la logica dietro il funzionamento di un’azienda per raggiungere un obbiettivo, e così via.

Dove ha trovato i fondi ed i primi soci per la sua azienda?

Le risorse economiche sono arrivate soprattutto da fondi di investimento privati e tramite business angels.

Per quanto riguarda i soci, proprio al corso di InnovAction Lab ho conosciuto quella che sarebbe divenuta la mia co-founder, ovvero Giulia Gazzelloni. Lei è rimasta con me a lavorare al progetto per circa quattro anni perché appassionata, personalmente coinvolta e disposta a rischiare. Quando si fa impresa infatti non si cerca il rendiconto immediato, è un rischio enorme, lo si fa per la soddisfazione personale, per la voglia di creare qualcosa, di lasciare il segno, di poter aiutare le persone, di sapere che quello che si sta creando non è solo la soluzione ad un tuo problema personale, ma è anche la soluzione ad un problema che tante altre persone hanno come te. E tu puoi essere la persona che lo risolve.

Per la ricerca dei collaboratori mi sono affidata soprattutto nei primi tempi alle conoscenze personali, alle raccomandazioni, perché assumere uno sconosciuto mi sembrava rischioso. Poi però ho scoperto che non è la conoscenza che ti fa evitare quelle problematiche, quello che conta è l’esperienza che quella persona ha avuto presso altre aziende e soprattutto il coinvolgimento personale che ha all’interno dell’azienda. In questi anni ho visto tantissime persone entrare e uscire dall’azienda Le Cicogne, e quelle che sono rimaste di più sono quelle i cui obiettivi personali combaciavano con quelli dell’azienda. Se ci sono obiettivi comuni allora c’è futuro per quella persona nell’azienda e c’è futuro per l’azienda stessa. Perchè l’azienda non è altro che l’insieme delle persone che ne fanno parte.

È veramente importante trovare la persona giusta. E inoltre un’azienda funziona quando è eterogenea.

Prendendo solo persone simili a te l’azienda crescerebbe solo in una direzione o non crescerebbe affatto.

Quali sono stati i primi passi dall’idea alla nascita vera e propria dell’azienda?

È stato un processo graduale di risoluzione di piccoli problemi che si sono presentati e che poi nel tempo sono diventati sempre più grandi. Il primo problema è stato quello della gestione delle babysitter, e la soluzione è stata la creazione di un gruppo su Facebook.

Il passaggio al sito è nato invece per gestire le richieste dei genitori. Prima infatti passavo ore al telefono con i genitori dicendo le stesse identiche cose a tutti. Per risolvere il problema ho creato un sito in cui mettevo nero su bianco tutte queste informazioni, che ora qualsiasi genitore poteva leggere.

In quel momento il servizio era a titolo gratuito per il genitore, mentre le babysitter pagavano un abbonamento di 20 euro per i primi due mesi.  

Quando ho trovato una persona disposta a creare un sito molto conveniente, 1.400 euro, ho fatto una semplice assunzione personale. Io come babysitter sarei disposta a pagare al massimo 20 euro per questo servizio. Ho quindi fatto 1400 euro diviso 20, sono 70 persone. C’erano già 30 babysitter, dovevo trovarne 40.

Pertanto ho inviato centinaia di messaggi privati su messenger per trovare le babysitter che mi mancavano. Questo è stato il mio business plan.

Qual è stato il vostro modello di business?

Il modello di business si è evoluto nel tempo. All’inizio facevamo pagare l’abbonamento solo alle babysitter. In un secondo momento abbiamo deciso di estenderlo anche ai genitori. Poi però abbiamo capito che solo con questo non avevamo un ritorno sull’investimento. Dal momento che le persone in media rimanevano iscritte solo due o tre mesi, proprio perché il sistema funzionava molto bene, non riuscivamo a coprire i costi per portare dentro l’utenza, come i volantini e le persone in ufficio che assistevano i clienti. Per noi era una perdita economica.

Quindi abbiamo deciso di cambiare il modello di business entrando nella transazione economica. Per questo dopo due anni abbiamo introdotto il check in ed il check out. Un’applicazione che permettesse alla babysitter di “timbrare il cartellino” all’inizio e alla fine della prestazione, e che permettesse inoltre al genitore di pagare con carta di credito, consentendo a noi di fare una maggiorazione sopra il compenso della babysitter, per coprire i costi.

A livello logico funzionava, ma a livello pratico no poiché le persone dopo un pò si rendevano conto che aveva un costo troppo elevato, e per avere un risparmio scavalcavano il sistema.

A questo punto si è pensato di dare dei servizi aggiuntivi. Abbiamo creato un’assicurazione che coprisse la casa e il bambino durante la prestazione tra check in e check out, e poi anche la regolarizzazione del rapporto di lavoro, per la quale il datore di lavoro non deve fare nulla, solo dare l’autorizzazione ad agire per suo conto. E il costo per il genitore è al massimo di 1,5 euro all’ora.

Ha avuto dei mentori o comunque delle figure che hanno avuto importanza per la sua attività?

Ce ne sono stati tantissimi. Per esempio il fondatore di InnovAction Lab, Augusto Coppola, che è stato il mio mentore per tantissimo tempo e a cui tuttora chiedo dei consigli.

Poi sicuramente Gianmarco Carnovale e persone che mi capita di incontrare durante il percorso. Come ad esempio la country manager del sud Europa di Spotify, che si è entusiasmata al progetto de Le Cicogne, i cui consigli per me valgono oro.

Bisogna circondarsi di mentori. Bisogna cercare il confronto con persone che ne sanno meno di te e con persone che ne sanno più di te. Bisogna cercare il confronto in generale.

Ha incontrato molte donne imprenditrici durante il percorso? A cosa è dovuto secondo lei il loro numero ridotto?

Faccio un esempio. Ieri sono stata ad un evento presso un acceleratore d’impresa per i founder di startup. Io ero l’unica donna. Nella pratica le donne in questo ambito non ci sono.

Ma sono le donne stesse che si escludono. È una nostra situazione mentale, noi donne pensiamo di non poterci sedere al tavolo, pensiamo di non poterci chiamare amministratore delegato, o di non poter dare ordini a un uomo.

Purtroppo non possiamo cambiare il passato, ma il futuro sì. Dobbiamo parlarne tantissimo, scriverne tantissimo, in modo che leggendo esempi concreti la prossima volta che una donna avrà un’idea penserà che può fare impresa, l’hanno fatto tante donne, perché io sono diversa? Posso farlo!

Quali consigli darebbe alle donne con la voglia di fare impresa?

Sicuramente quello di parlare continuamente delle proprie idee, perché non saremo noi a comprare il nostro prodotto o il nostro servizio, bisogna farlo come richiesto dagli utenti finali, dai beneficiari.

Poi di credere nel lato umano delle persone più che in quello professionale. Perché il lavoro si impara, chiunque potrà imparare qualsiasi lavoro, in più o meno tempo, però non tutti hanno lo stesso lato umano, lo stesso carattere, la stessa compatibilità, la stessa empatia, la stessa voglia di crescere. Bisogna cercare prima il lato umano e poi le esperienze lavorative, che verranno. 

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