elena david

advisor e consigliere indipendente

Dopo una laurea in Economia e Commercio a Firenze, Elena David entra nel 1990 in Starhotels come assistente di direzione finanziaria prima e generale poi, sotto la guida dell’imprenditore Ferruccio Fabri. Dopo alcuni anni e due figli ne diviene direttore generale.

Da qui la carriera è proseguita, nel 2000 entra in UNA Hotels and Resorts come amministratore delegato e vi rimane per 16 anni. È stata anche vicepresidente di Federturismo Confindustria, CEO di Valtur ed ora consigliere indipendente di Fideuram Intesa Sanpaolo e consigliere indipendente e Presidente del Comitato controllo e rischi di La Doria spa.

 

  In questa intervista si parla di:

  • il ruolo di mentore
  • conciliazione lavoro vita privata
  • donne nei cda 

 

Quali sono stati i punti cardine della sua carriera, le difficoltà e le sfide che ha dovuto affrontare?

Mi sono laureata lavorando quindi abbastanza tardi e circa un anno e mezzo dopo il mio ingresso nel mondo del lavoro (come assistente di direzione finanziaria presso Starhotels) mi sono accorta di aspettare il mio primo figlio.

Senza schiere di nonne a disposizione ho trovato in mio marito, che non ha mai messo in discussione la mia volontà di continuare il lavoro, una grandissima disponibilità.

E questa è stata una delle prime scelte importanti della mia carriera. Nonostante la babysitter assorbisse forse più del 50% dello stipendio, non ho mai pensato di arrendermi.

L’altro elemento cardine è stata la lungimiranza del mio capo di allora.

Quando è nata la mia seconda figlia, a distanza di sei anni, per vincere la mia naturale incertezza l’imprenditore mi ha offerto un ruolo di maggior responsabilità. Nel frattempo ero diventata dirigente ma con la nascita del secondo figlio vengo nominata direttore generale; mi viene posta sul piatto una sfida interessante e importante che mi ha dato la forza per superare quel momento, che avrebbe potuto essere di rinuncia o comunque una ragione per fare un passo indietro.

Questa promozione ha complicato molto la vita reale. Plurime responsabilità, viaggi e due bambini ancora piccoli mi sono costati tanta fatica. Ho fatto tantissimi sacrifici, ho rinunciato a tanti momenti con la famiglia, con i bambini, a tanti momenti per me stessa, però nonostante tutte queste difficoltà ho vissuto una vita vera, fatta di affetti, amicizie e famiglia. In qualche modo ho cercato di riuscire in quel miracolo che si chiama conciliazione.

Il messaggio che posso dare è che ho avuto dei mentori, in particolare il mio primo datore di lavoro, molto attento al valore professionale delle persone e un po’ meno al genere, che mi ha stimolato a far bene il mio lavoro e che per me è stato un grande esempio.

Poi un grande marito che mi ha accompagnato in questa vita.

Infine penso di averci messo anche molto del mio, volontà, determinazione e anche piacere. Lavorare per me è sempre stata una grande opportunità di realizzazione, di dimostrare quello che sapevo fare e come lo sapevo fare.

Da dirigente e donna, è sempre stata considerata alla pari dei colleghi o si è sentita in dovere di dimostrare qualcosa di più?

Paradossalmente, all’inizio della mia carriera, sia nella prima azienda che in parte nella seconda, quando sono stata al fianco di imprenditori il problema di genere non l’ho conosciuto perché erano persone che guardavano più all’apporto professionale e meno al genere.

In altri ambienti ho percepito maggiormente che l’essere donna mi rendeva in certi casi meno credibile e meno forte.

Dai colleghi invece ho sempre avuto un grande riconoscimento della mia figura, anche in quanto donna; hanno apprezzato spesso la maggiore sensibilità, la capacità di mediazione, l’attenzione a tanti particolari che non sempre avevano trovato negli uomini.

Sono però sempre stata pagata meno di un uomo a parità di ruolo.

Ha mai fatto da mentore ad alcuni giovani? Pensa sia importante per lo sviluppo di carriera? 

L’ho fatto spesso, sia in relazione a dei programmi strutturati sia nella forma diretta.

Molti di loro a distanza di anni apprezzano l’esperienza e l’opportunità che hanno avuto.

Lo considero molto importante perché io so che devo gran parte della mia capacità professionale agli studi e alla dedizione, ma la devo molto anche all’aver avuto un maestro, una delle persone più capaci che abbia mai conosciuto, quindi penso sia giusto restituire ad altri quello che si è ricevuto, una sorta di give back.

Cosa pensa possano fare le dirigenti per ridurre le differenze di genere?

Penso che tutte dobbiamo fare qualcosa. Attualmente sto collaborando con “In the Boardroom” (progetto lanciato nel giugno 2012 da Valore D e General Electric con l’obiettivo di intervenire su tutti i passaggi necessari per promuovere e inserire nei CdA donne preparate e di talento. Ad oggi conta un network di 243 donne) e sono responsabile per la creazione di un evento, Smart Board, che ci sarà in borsa il 21 gennaio prossimo, all’interno del quale si lavora per promuovere la cultura della presenza femminile nel mondo del lavoro.

Però dal cda all’azienda non è molto semplice far arrivare il messaggio. Di più può fare una donna nel ruolo di amministratore delegato, direttore generale oppure operativo.

In generale il lavoro dovrebbe vedere l’avanzamento e la diffusione secondo criteri meritocratici. Ma la meritocrazia e la rappresentazione dei propri talenti dipende anche dall’opportunità di esprimere il proprio talento e la propria capacità.

Da un lato, io donna devo mettermi in gioco per poter arrivare a ricoprire ruoli che mi consentano sempre più di esprimere il mio talento.

Ci vuole quindi la mia disponibilità. È un dato oggettivo che molte donne per molte ragioni fanno delle rinuncie, alla nascita dei figli perché pensano di non riuscire a conciliare, o anche addirittura delle rinunce nello scegliere un corso di studi preferendone un altro che ritengono più compatibile.

Poi dall’altro lato c’è l’azienda che deve lasciare gli spazi.

Ci sono ormai tante realtà, soprattutto multinazionali ed aziende più strutturate, dove la disponibilità a consentire alle donne di esprimere il loro talento e di fare percorsi di carriera è notevolmente migliorata negli anni.

Dall’altro invece ci sono tante piccole e medie aziende dove questa facilitazione per le donne non c’è.

Ed è un tema a cui sono abbastanza appassionata.

Che consigli darebbe alle giovani laureate che si stanno affacciando al mondo del lavoro per emergere e dimostrare le proprie capacità?

C’è una preghiera di San Francesco che dice: “Signore concedimi la serenità per accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per riconoscerne la differenza”.

Ognuno di noi in qualche modo ha una chance rispetto alle proprie forze e al proprio destino.

Il consiglio che posso dare è di non mollare mai, di partire dalle competenze e poter poi difendere le proprie idee, le proprie iniziative e le proprie posizioni.

Un ultimo suggerimento è quello di trovare degli sponsor all’interno dell’azienda disposti ad aiutarti; normalmente dovrebbe essere il proprio capo ma talvolta occorre guardare oltre.

Se non si “sfonda” il soffitto forse è necessario cambiare!

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