layla pavone

chief innovation, marketing and communication at Digital Magic

Dopo la laurea in Scienze Politiche all’Università di Milano ed un master in comunicazione d’impresa e nuove tecnologie Layla Pavone ha lavorato in aziende quali Video Online, Publikompass, Isobar Communications, con responsabilità nei settori comunicazione e marketing.

È cofondatrice e condirettrice del Master Digital Communication Specialist IAB Italia e Assocom e consigliere indipendente dell’Editoriale Il Fatto Quotidiano.

Attualmente fa parte del consiglio di amministrazione di Digital Magics in cui ricopre anche il ruolo di Responsabile Innovazione, Marketing e Comunicazione.

 

 

 In questa intervista si parla di:

  • determinazione ed ambizione nel raggiungere i propri obiettivi
  • creare una startup dopo l’università vs sognare il posto fisso
  • la necessità di Role Model femminili

     

  

Ci racconta brevemente la sua carriera, le difficoltà incontrate ed i risultati di cui è più orgogliosa?

Partiamo con una battuta che è quella legata al fattore C, che sta per “fortuna” ma anche per contesto. Io ho finito il Master in comunicazione d’impresa e nuove tecnologie alla fine del 1988 iniziando così la mia carriera proprio in un momento in cui nel nostro Paese c’era un boom dal punto di vista delle opportunità di lavoro.

All’inizio volevo fare la giornalista ma poi, strada facendo, ho capito che non c’era solo quel mestiere volendo fare comunicazione, ma c’erano tutta una serie di altre opportunità. Il marketing stava infatti muovendo i primi passi all’interno delle aziende.

Quel periodo è stato molto bello perché ho cominciato proprio quando l’avvento delle nuove tecnologie e le opportunità di lavoro erano alla portata di molti. Ma nella vita bisogna essere anche molto determinati e molto ambiziosi, ed io ero sia determinata che ambiziosa nel voler trovare un lavoro bellissimo nell’ambito della comunicazione, consapevole che avrei dovuto fare molti sacrifici.

Ho iniziato attraverso uno stage dove alle 6:00 della mattina dovevo andare in azienda per fare la rassegna stampa, che a suo tempo consisteva nel prendere le mazzette di giornali in edicola e ritagliare tutti gli articoli coerenti rispetto alla nostra azienda. Incollarli su un foglio A4, fotocopiarli e tirare fuori dalle 20 alle 50 pagine a sua volta da fotocopiare per una ventina di top manager.

Questo è durato circa un anno ed è quello che io continuo a sostenere far parte della crescita delle persone cioè il fattore “gavetta”: rimboccarsi le maniche e fare sacrifici. Iniziare dal basso per quanto si possa avere nella propria tasca una laurea ed un master è fondamentale, perché ti mette nelle condizioni di sapere che la tua capacità professionale è data anche dalla tua disponibilità a fare di più rispetto a quello che fa parte della tua mansione.

Poi da qui è iniziato un percorso, bello, fatto di ostacoli quotidiani e dal dover dimostrare giorno dopo giorno le proprie capacità. Soprattutto essendo molto giovane, con una grande ambizione di crescere da un lato e dall’altro con la zavorra di essere la più piccola del gruppo.

Ho avuto poi la fortuna di poter scegliere fra due aziende e col senno di poi ho scelto la strada più bella.

A suo tempo due società erano disposte ad assumermi. Una di queste era una grandissima concessionaria di pubblicità televisiva ancora oggi al top del ranking, che aveva come amministratore delegato e direttore delle risorse umane una persona che mi minacciò avendo io deciso di non accettare la loro proposta di lavoro.

Quella famosissima concessionaria di pubblicità aveva dal mio punto di vista un modo di lavorare e di considerare il genere femminile non propriamente adeguato a chi come me aveva intenzione di fare una carriera che si basava solo e solamente sulle mie competenze e non sul fatto che ero una donna giovane e carina.

Questa persona mi disse che stavo sbagliato tutto rifiutando l’offerta più importante della mia vita e che in questo modo mi stavo facendo terra bruciata su quella che sarebbe stata la mia futura carriera professionale.

Nell’altra azienda, la Società per la Pubblicità in Italia, avrei avuto come capo una donna, con cui avevo fatto due colloqui e nei quali mi aveva prospettato una crescita che mi piaceva molto. Questo, unito ad un ambiente di lavoro che mi aveva dato molta fiducia, mi spinse ad accettare la proposta.

Pur nella mia ingenuità a ventiquattro anni feci quella che oggi ritengo la scelta più indovinata della mia vita.

A suo tempo fu un momento molto difficile perché dovetti gestire una situazione di ansia pesantissima generata dalle parole di questa persona che mi aveva prospettato un futuro che poi per fortuna non sarebbe accaduto.

Lavorai in quell’azienda per circa quattro anni. Poi Niki Grauso, il primo imprenditore italiano ad investire in internet e creatore del primo internet provider italiano che si chiamava Video Online, mi chiese di entrare a far parte di un team di lavoro all’estero.

Era un editore di quotidiani italiano ed aveva delle proprietà in Polonia.

È stata un’esperienza di due anni, bellissima dal punto di vista pubblicitario, perché sono arrivata in un paese dove la pubblicità stava nascendo in quel momento.

Ma anche come esperienza internazionale, che è stata importante per diversi motivi. Innanzitutto, perché andare all’estero cambia la tua mentalità, il tuo approccio alle cose. 

Inoltre, fa crescere la tua capacità di relazionarti con persone di culture diverse con le quali devi costruire un lavoro, un progetto, un prodotto o un servizio.

Poi sono rientrata in Italia nel momento giusto perché ho iniziato il percorso di Internet e del digitale con lo stesso imprenditore che mi aveva chiamato a lavorare in Polonia.

 

“C’è bisogno di donne con esperienza che raccontino ad altre donne che si può diventare imprenditrici, che si può fare impresa” 

Layla Pavone

Ha avuto dei mentori o comunque delle figure che hanno influito sulla sua storia professionale?

Innanzitutto, una persona importante è stata il direttore marketing della mia prima azienda.

Lei è la persona che più di tutte ha avuto fiducia in me e mi ha trasferito tantissima esperienza e conoscenza anche nel saper lavorare in un team e nel relazionarsi con le persone nell’ambiente di lavoro. Tutte capacità che oggi chiamiamo soft skills.

Probabilmente essendo donna aveva anche individuato l’approccio giusto nei confronti di una ragazza neolaureata, determinata e ambiziosa ma con tantissime cose da imparare.

L’altra figura che ha rivoluzionato in positivo la mia vita è stata proprio Niki Grauso. Mi ha dato totale fiducia e mi ha affidato la creazione degli uffici di Milano di Video Online. Mi ha dato carta bianca per tutto, dalla scelta sede alla scelta delle risorse umane. È stato una persona che ha creduto molto in me ed è stato una di quelle persone cui sarò grata per sempre.

Da dirigente e donna, è sempre stata considerata alla pari dei colleghi o si è sentita in dovere di dimostrare qualcosa di più?

A parte quell’episodio iniziale mi sono trovata sempre molto bene. Tra l’altro ho lavorato soprattutto per i primi tempi in un ambiente molto al femminile e con un capo donna. Il mondo della comunicazione e dei media ma soprattutto della pubblicità è un mondo in cui ci sono molte donne.

Poi quando sono diventata dirigente, avevo poco più di trent’anni, la situazione è cambiata. Nel senso che ovunque nelle posizioni apicali ancora oggi non ci sono molte donne. Devo dire però che sono sempre stata apprezzata per le mie capacità e per le mie competenze.

Oggi ancora una volta mi trovo in una situazione idilliaca, perché in Digital Magics sono l’unica donna a far parte del board ma ho dei partner bravissimi.

Vorrei che fossero così tutti i professionisti maschi, perché so perfettamente che non sempre è così nelle aziende, spesso le donne fanno fatica soprattutto quando sono brave e ambiziose risultando un pericolo per alcuni uomini.

Ma questo è dovuto secondo me al retaggio culturale in cui ci troviamo. Non bastano pochi anni per cambiare una cultura secolare dove gli uomini hanno sempre “comandato” e le donne nella gran parte delle culture hanno sempre “sgobbato e preso ordini”. Ci vorrà secondo me ancora qualche decennio perché la parità di genere non sia più un problema e non sia più nemmeno in discussione.

Nonostante siano stati fatti dei passi avanti, anche dal punto di vista legislativo, siamo ancora in una società sicuramente molto maschile, se non maschilista, nella quale le donne ancora devono recuperare terreno.

Quali sono secondo lei i fattori che limitano la presenza femminile ai vertici aziendali? Ci sono degli atteggiamenti che le stesse donne possono cambiare per migliorare questa disparità? 

Le donne a mio parere non devono guadagnarsi niente da questo punto di vista perché fanno già molta fatica per riuscire a gestire la vita personale e quella professionale. Siamo in una società dove nella gran parte dei casi le donne hanno un doppio ruolo, cioè l’essere l’amministratore delegato della propria famiglia e della propria casa e l’amministratore delegato dell’azienda.

Non c’è molto che possiamo fare nel senso che non si può fare battaglia, non si può combattere.

Un consiglio, una considerazione da fare è quella di non abbassare mai la testa. Cioè mai accontentarsi ma chiedere e pretendere così come fanno i maschi, un avanzamento di carriera, un aumento di stipendio.

Le donne hanno un atteggiamento che spesso è quello di pensare che se lo meritano allora la promozione o l’aumento arriverà. Ma non è così in generale, nel senso che per ottenerli bisogna chiederli. E non è così soprattutto per il fatto che sei una donna. Le cose non accadono da sole, bisogna farle accadere.

Io lavoro molto con i giovani in ambito startup e Università. In questo settore nelle nuove generazioni vedo che l’atteggiamento è diverso, cioè la questione di genere non è sul tavolo.

Anche in contesti lavorativi quali giovani startup e giovani aziende i maschi considerano le femmine assolutamente allo stesso livello.

È una cosa molto bella e significa che forse questo cambio di cultura in realtà è già in atto. Queste nuove generazioni si confrontano sulla questione di genere in maniera assolutamente laica e neutrale quasi non fosse più un problema.

È chiaro che poi quando si deve fare carriera, quando si vuole arrivare agli apici e ai vertici delle aziende si sgomita, però non credo che questo sgomitare avvenga tra maschi e femmine. È una competizione che peraltro, se ben gestita, è sana, è un fattore che io considero molto positivo perché ti sprona a fare meglio, ma non è una competizione di genere.

Che consigli darebbe alle giovani laureate che si stanno affacciando al mondo del lavoro per emergere e dimostrare le proprie capacità?

L’esperienza internazionale come ho affermato prima è molto importante. La raccomando sempre, come minimo un Erasmus. Lo chiedo sempre durante i colloqui.

Poi per le giovani laureate il consiglio è quello di essere veramente molto determinate.

Nonostante il contesto sia più difficile rispetto a quello che ho trovato io ad inizio carriera, ci sono delle enormi opportunità che si stanno aprendo per il mondo dei giovani.

Il digitale è disruptive, ha ribaltato completamente modelli di business, settori del mondo dell’economia e dell’industria. Ma ha anche creato nuovi modelli di business che sono legati a nuove professionalità, a nuove competenze, e siamo solo all’inizio di questa trasformazione.

Consiglio di andare a ricercarsi quelle opportunità che già oggi il mondo dell’università comincia ad offrire, ma anche la stessa scuola superiore, opportunità che sono diverse dai tipici corsi che si facevano fino a qualche anno fa e vanno nella direzione della specializzazione in ambiti legati allo sviluppo del digitale, in generale delle nuove tecnologie.

Quindi ascoltare poco i genitori da questo punto di vista, che ancora oggi vorrebbero i propri figli laureati per fare l’avvocato piuttosto che il medico o l’architetto. Bisogna avere il coraggio di fare delle scelte proprie, ponderate, ragionate. Non bisogna buttarsi sulla prima facoltà o sulla prima opportunità di scuola superiore, perché le competenze che si acquisiscono grazie alla scuola sono importantissime. Meglio scegliere quei settori che saranno utili per poi inserirsi nel mondo del lavoro nella migliore delle situazioni.

Si tratterà di professionalità e competenze che magari ancora oggi non siamo riusciti a identificare. Mi riferisco per esempio al mondo della tecnologia, dell’Internet of Things, dei Big Data, dell’intelligenza artificiale e di un certo approccio alla sociologia assolutamente innovativo.

Quindi consiglio di andare a prendere quei corsi che guardano al futuro.

Teniamo conto che il lavoro occupa una gran parte della nostra vita quotidiana allora tanto vale avere bene in mente quello che si vuole fare quando anche sia difficilissimo. Se si è determinati ad arrivarci ci si può arrivare.

Ci vuole impegno, sacrificio, nessuno regala niente ma se si ha questa ambizione, questa determinazione, si giunge all’obiettivo. Quindi grande coraggio e grande responsabilità nelle scelte che non devono essere delegate.

Io ho avuto la fortuna di avere dei genitori che mi hanno lasciato fare le scelte che volevo fare. Infatti, sono il risultato di una scelta che era dettata da una passione coltivata sin dagli anni delle scuole superiori, quella del giornalismo, e che però poi mi ha portato, con competenza fortuna e contesto, ad arrivare a fare un lavoro bello e soprattutto che mi piace.

Un’altra cosa che vorrei aggiungere è quella di inventarsi un lavoro.

Il fare un percorso imprenditoriale è una cosa che io raccomando moltissimo e che negli ultimi decenni si era un po’ persa.

Gli italiani sono stati un popolo di imprenditori fino alla fine degli anni ‘60 – ‘70. Poi è arrivato il mondo delle grandi aziende, sono arrivate le multinazionali, le aziende statali, e tutto si è un po’ arenato.

Gli italiani si sono un po’ impigriti e abbiamo fatto due o tre decenni dove la nostra capacità imprenditoriale, l’inventiva, il talento, e la creatività non sono venuti fuori moltissimo, se non in casi eccezionali.

Quindi non pensate uscite dall’università o dal master al classico sogno di lavorare in una grande azienda o in una società di consulenza ma di poter creare la vostra azienda.

Le donne startupper sono ancora meno in percentuale delle imprenditrici tradizionali. In Italia le imprenditrici tradizionali sono circa il 30% mentre le donne che creano una startup sono circa il 13%.

C’è un fattore che credo sia ancora una volta culturale per le ragazze.

Queste, dal momento che parlare di startup significa anche parlare di tecnologia, pensano di non avere le competenze, di non essere preparate per potere fare startup. Ma ciò non è assolutamente vero perché non sono necessarie solo le competenze STEM. Anzi secondo me per fare l’imprenditore è importante essere capaci di un approccio trasversale esattamente come quello che hanno le donne nella gran parte dei casi, una visione a 360 gradi delle cose.

Poi c’è ovviamente la componente tecnologica. Ma le competenze che mancano si vanno a cercare, se abbiamo bisogno di un programmatore, di uno sviluppatore, di una programmatrice o di una sviluppatrice, li andiamo a cercare. L’importante è essere imprenditrice.

L’imprenditrice è una persona che ha la capacità di poter dirigere e collaborare con un gruppo di lavoro avendo la responsabilità di sceglierlo e di guidarlo verso il raggiungimento di obiettivi.

Ho creato un progetto proprio recentemente che si chiama MIA (Miss In Action) che è legato al supporto e allo sviluppo dell’imprenditoria al femminile.

Secondo me c’è proprio la necessità di mentorship, di Role Model, di esempi al femminile, su cui lavora lo stesso progetto MIA. C’è bisogno di donne con esperienza che raccontino ad altre donne che si può diventare imprenditrici, che si può fare impresa. Allora riusciremo a scardinare nel tempo anche questo luogo comune che oggi rappresenta un po’ un freno dal punto di vista della capacità di fare impresa.

 

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