adriana maggi

Coordinatore Centro di Eccellenza per le malattie Neurodegenerative, Università di Milano

Dopo la laurea in Scienze Biologiche presso l’Università degli Studi di Milano Adriana Maggi inizia la sua carriera di ricercatrice presso il dipartimento di Farmacologia e Neurobiologia all’Università del Texas.

Ritornata in Italia fonda poi il Milano Molecular Pharmacology Lab.

Attualmente dirige il Centro di Eccellenza sulle malattie neurodegenerative dell’Università di Milano e presiede la TOP srl, spin-off dell’Università di Milano, da lei fondata. 

 In questa intervista si parla di:

  • il fattore esperienza nell’ambito della ricerca
  • vita privata e carriera accademica
  • consigli per giovani ricercatrici

     

  

Quando nasce il suo interesse verso le scienze biologiche?

Mi sono iscritta all’Università con le idee poco chiare: mi piaceva molto la chimica, ma mi sembrava una materia un po’ arida e da lì la scelta delle Scienze Biologiche. Il primo esame, che è stato sulla biologia della cellula, mi ha coinvolta immediatamente e appassionata alla materia fecendomi capire che la scelta del corso di studi era stata la migliore per me. Da quel momento è stato un crescendo di esaltazione, ogni esame mi interessava e avvicinava alla materia sempre di più facendomi sperare di poter continuare con la mia professione verso una attività di ricerca, ma avevo molta paura di non essere all’altezza, malgrado superassi gli esami con facilità.

Ci racconta brevemente la sua carriera, i momenti più difficili ed i risultati di cui è più orgogliosa?

Il momento più difficile è stato quando mi sono laureata: avrei sperato mi chiedessero di rimanere in Università a lavorare. Il fatto che nessuno mi abbia offerto di rimanere in Università mi ha convinto della mia inadeguatezza e sono andata a lavorare nell’Industria. Solo dopo un bel po’ di tempo ho capito che il fatto di essermi sposata appena prima della laurea era stato interpretato come un mio disinteresse a continuare una carriera lavorativa e l’offerta da me tanto desiderata è stata fatta a colleghi anche considerati meno capaci, ma più disponibili! 

Nell’Industria ho avuto la fortuna di lavorare accanto a persone fantastiche permettendomi di apprendere nozioni che mi hanno facilitato molto anche nella carriera accademica. La scelta di tornare in Università è stata difficile, in fondo mi piaceva anche il lavoro che avevo trovato nell’ industria farmaceutica e capivo che probabilmente quello avrebbe lasciato un po’ più spazio alla mia vita personale, comunque il desiderio di fare ricerca in Università era forte e ogni perplessità è svanita appena ho iniziato a lavorare in laboratorio nell’Istituto di Farmacologia a Milano che allora abbondava di giovani talentuosi, capaci e molto competitivi.

I risultati di cui essere orgogliosa? Una carriera scientifica è costellata necessariamente da una successione di piccoli successi costituiti da una buona pubblicazione, un finanziamento o un premio prestigioso di cui si può essere più o meno fieri. Ma io sono orgogliosa di aver raggiunto l’età nella quale in genere si è stanchi di lavorare mantenendo l’entusiasmo, l’energia e il desiderio di fare che avevo a trent’anni, ma forse anche superiore perché oggi

 

“Non aver paura di affrontare doppi, tripli carichi di lavoro tra lavoro-famiglia-sé stesse perchè la più grande caratteristica delle donne è proprio la resilienza.” 

Adriana Maggi

sento di aver acquisito una maggiore creatività perché basata sulle competenze che in campo bio-medico si possono acquisire solo con una lunga esperienza di ricerca e insegnamento. L’altro elemento di orgoglio è quello di fare parte integrante di una comunità scientifica internazionale con la quale mi misuro costantemente esponendo, imparando, ma anche consigliando e insegnando in una dialettica essenziale per il progresso mio personale e di tutto il settore scientifico nel quale opero.

Ha avuto dei mentori o comunque delle figure che hanno influito sulla sua storia professionale?

Assolutamente sì, il mio mentore durante il lungo periodo trascorso al Medical Center di Houston e poi amico di sempre Bert O’Malley, un grande esempio di scienziato molto capace e corretto dal punto di vista scientifico e un eccellente manager della ricerca; qui in Italia Rita Levi Montalcini una figura estremamente carismatica e un grande esempio di scienza al femminile.

È sempre stata considerata alla pari dei colleghi o si è sentita in dovere di dimostrare qualcosa di più?

Essere o meno alla pari implica un concetto di merito e misurazione dello stesso che in scienza sembrerebbe più semplice che in altri settori; è curioso quanto nel nostro Paese il concetto di merito si diluisca e si adatti di volta in volta a elementi i più disparati e mutevoli (convenienza politica, familiare, affettiva, ecc.). Questo pone molte difficoltà e sconcerta soprattutto coloro che proprio per la loro formazione hanno una visione idealistica della società e credono nelle proprie forze per poter proseguire con successo nella loro carriera. Un altro elemento di disorientamento è constatare quante persone in posizione di superiorità gerarchica pensino che una donna loro sottoposta possa pensare di prendere scorciatoie nella propria carriera diverse da quelle basate su meriti meramente scientifici, ma questo non credo sia un elemento relegabile all’ambiente scientifico.

Purtroppo, soprattutto nelle prime fasi della mia carriera, io non vedevo proprio differenze tra colleghi di sesso diverso e mi sentivo alla pari. Ben presto ho capito che erano gli altri che la differenza non solo la vedevano, ma, soprattutto, non riuscivano ad accettare quando dimostravo e facevo qualche cosa in più di loro.

Quali sono secondo lei i fattori che limitano la presenza femminile nelle posizioni di rilievo? Ci sono degli atteggiamenti che le stesse donne possono cambiare per migliorare questa disparità o mancano semplicemente le opportunità?

Penso che siamo noi stesse che spesso non cogliamole opportunità e ci autolimitiamo non prendendoci sul serio e sottovalutando le nostre possibilità. Inoltre aiutare gli altri ci viene molto naturale e spesso ci poniamo in posizione di servizio e non di leadership, anche se quando agiamo come leader possiamo essere insuperabili, proprio per le nostre capacità empatiche.

Noto un grande cambiamento nel mondo del lavoro e le molteplici abilità che le donne esplicano più degli uomini sono in via di enorme rivalutazione: mentre in passato le donne si sentivano in dovere di assumere comportamenti tipici del modo di lavorare maschile, oggi questo non credo sia più così utile. Quali atteggiamenti cambiare? Credere in sé stesse e nelle proprie capacità fino in fondo, non pensare mai che il modo di agire femminile possa dare meno risultati di quello maschile, non aver paura di affrontare doppi, tripli carichi di lavoro tra lavoro-famiglia-sé stesse perché la più grande caratteristica delle donne è proprio la resilienza, le donne possono sempre riprendersi e affrontare qualsiasi problema con una forza che nessuno ha mai attribuito al cosiddetto sesso debole.

Che consigli darebbe alle giovani laureate con il desiderio di diventare ricercatrici?

Primo, scegliete un settore della ricerca che vi coinvolga e risvegli tutta la vostra curiosità. Secondo, tenete conto che la formazione che voi ricevete nei primi anni della vostra carriera è fondamentale quindi cercate di entrare nei migliori laboratori che nel mondo ricercano nel settore di vostro interesse e non lasciateli fino a che non vi sentite completamente mature e pronte ad affrontare la ricerca in modo indipendente, non abbiate fretta di aver successo, in campo biomedico la maturazione è lenta perché le nozioni da fare nostre sono molte e sono indispensabili per una ricerca di qualità. Non abbiate mai paura e siate cocciute: nel mondo della scienza vince chi “non si dà mai per vinto”!

Terzo: studiate, studiate e studiate.

 

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