maria pia abbracchio

professore ordinario di farmacologia

Dopo una laurea in Farmacia all’Università di Milano ed un dottorato di ricerca in Medicina Sperimentale, Maria Pia Abbracchio ha iniziato la sua carriera da ricercatrice fino a diventare professoressa ordinaria di Farmacologia e responsabile di un gruppo di ricerca presso la Statale di Milano.

Attualmente è anche pro rettore vicario della Statale di Milano, con la delega alla ricerca. 

 

 

 In questa intervista si parla di:

  • l’importanza di promuovere le idee dei giovani ricercatori
  • la forza per seguire le proprie passioni 
  • fare da mentore alle giovani ricercatrici
 

Ci racconta brevemente la sua carriera, gli ostacoli maggiori e le soddisfazioni più grandi?

Nella mia carriera ho superato tanti ostacoli, anche se è stata una carriera semplice da un certo punto di vista, per il modo in cui si è organizzata. Gli ostacoli sono stati soprattutto dovuti alla difficoltà di fare la ricercatrice in Italia

Io mi sono laureata molto giovane, sono andata negli Stati Uniti immediatamente per due anni all’università del Texas, dove ho ricoperto una posizione da post dottorato. Poi sono tornata in Italia per il fare il dottorato, che prima non esisteva ancora. Da lì è iniziato un lungo periodo di precariato, che è durato una decina d’anni, finché ho fatto il primo concorso da ricercatore universitario, che ho vinto. Avevo 33 anni ma lavoravo in ricerca da quando ne avevo 20. Dopo il concorso da ricercatore le cose hanno cominciato ad andare veramente bene. Da lì poi ho fatto il concorso da associato riuscendo a recuperare gradini molto in fretta perché il curriculum era buono, e mi sono dunque ritrovata ancora giovane ad essere già professore ordinario e capo laboratorio con un gruppo di ricerca. 

Dal primo ottobre 2018 sono anche pro rettore vicario della Statale di Milano, con la delega alla ricercaSono incarichi molto impegnativi e di cui sono molto orgogliosa. Sono molto contenta, dopo tanti anni da ricercatrice in Italia con grandissima difficoltà, di poter aiutare i giovani dell’ateneo a fare una carriera di ricerca. Bisogna promuovere le loro idee sul nascere prima che si scoraggino, abbandonando questa carriera per altre più facili.

Ritengo di essere stata molto fortunata, ho lavorato tantissimo, rinunciando a tante altre cose, ma non mi è pesato più di tanto perché era quello che volevo fare. Sono quindi molto contenta delle scelte che ho fatto.

È sempre stata considerata alla pari dei colleghi o si è sentita in dovere di dimostrare qualcosa di più? 

Nella mia carriera posso dire di non aver mai sperimentato discriminazioni di genere. Sono stata fortunata perché ho avuto molti capi uomini che erano persone illuminate. A loro interessava che le cose venissero fatte e avevano molta apertura e comprensione per quello che potevano essere le difficoltà di una donna nell’organizzarsi nel lavoro. Anche quando avevo il bambino piccolo se magari dovevo scappare a scuola a prenderlo, poi però dopo cena completavo il mio lavoro.

Mi è stata data molta fiducia. Questo sia in Italia che all’estero. Anche durante l’anno che ho passato a Londra come ricercatore sono riuscita a conciliare il fatto di avere un bambino, che avevo condotto con me perché mio marito girava il mondo per lavoro, ed una professione come questa.

Ho notato però che una donna con famiglia doveva dare sempre di più di uomo per ottenere uno stesso ruolo, doveva dimostrare una forza di volontà superiore a quella del collega. 

E oltre al lavoro per noi donne c’era la famiglia, c’erano i figli. C’erano alcune cose che dal punto di vista sociale dovevano fare solo le mamme. Quando i figli stavano poco bene ad esempio era la mamma che doveva andarli a prendere all’asilo e portarli a casa, ma era la stessa 

“E’ possibile fare la carriera che si vuole, è possibile seguire la propria passione, fare una professione che sembra difficile e che tradizionalmente è riservata solo ad un uomo” 

Maria Pia Abbracchio

mamma che, mentre il figlio dormiva, scriveva gli articoli e programmava gli esperimenti. 

Mi ha aiutato tantissimo avere un marito anche lui scienziato, che proprio per questo capiva e condivideva la profonda motivazione per una carriera di ricerca, e che è stato fin dall’inizio il mio sostenitore più entusiasta. 

Il fatto di essere donna ed essere abituata a fare un po’ di tutto ha aiutato molto. Una volta trovato il tempo per organizzarsi, anche in maniera non canonica, gli obiettivi poi si raggiungevano.

E con il passare del tempo ho sperimentato sempre meno difficoltà. 

Mi sono però trovata più volte in contesti decisionali composti quasi esclusivamente da uomini, dove ho notato una certa sorpresa legata alla presenza di colleghe donne. Non prevenzione quanto proprio sorpresa. All’estero invece sono abituati ad avere in tutte le commissioni una rappresentanza maschile ed una femminile, in genere paritarie. 

Questa sorpresa la coglievo anche a livello sociale, più che nell’ambiente di lavoro. E curiosamente questo spesso veniva da donne, che mi chiedevano il perché di tutto questo impegno. Ma perché mi piace il mio lavoro, la mia professione, è una passione, e quindi la seguo cercando di conciliarla con la vita personale. 

Quali sono secondo lei i fattori che limitano la presenza femminile nelle posizioni di rilievo? Cosa è in nostro potere fare per limitare questa disparità?

Questo è un problema e lo dicono le statistiche. In Italia solo sei università hanno un rettore donna, anche se sono arrivate nella posizione di pro rettore molte donne, e questo è un buon segno. 

Il nostro credo sia l’unico caso in Italia di governance così tanto al femminile, essendoci all’interno della Statale di Milano un rettore uomo, ma su 8 prorettori delegati 7 sono donne. E non è stato dovuto alle quote rosa ma è stato un riconoscimento di competenze. 

Purtroppo però in questo momento dal punto di vista culturale c’è un po’ un’inversione di tendenza. Ultimamente nel rinnovo di certi organi nazionali molto in vista, pur essendoci esperte donne, la parità non è stata rispettata per niente. 

Ha avuto dei mentori o comunque delle figure che hanno influito sulla sua storia professionale?

Essendo una scienziata uno dei modelli che molte di noi ragazze hanno seguito è stato quello della professoressa Rita Levi Montalcini. Ho avuto anche il privilegio di conoscerla, una signora straordinaria come scienziata e come persona. È stata un esempio per tutte. Mi sono riconosciuta nella passione che guidava le sue scelte, ancora più difficili delle nostre.

Una cosa che mi ha sempre attratto molto e che ho riconosciuto in tante donne della nostra storia è stata lo spirito istituzionale, quel desiderio di contribuire ciascuno con il proprio lavoro con la coerenza, con la voglia ed il coraggio di andare avanti nonostante le difficoltà, tramite il proprio impegno personale. 

Io stessa faccio volentieri da mentor, essendo sensibile a quest’argomento. Mi fa piacere portare avanti i giovani del mio laboratorio, composto tra l’altro per tre quarti da donne, anche all’interno della comunità scientifica. C’è una grande attenzione verso le giovani donne, per aiutarle a rimuovere gli ostacoli che ancora esistono. 

Mi piace sempre raccontare alle giovani che non devono rinunciare alla loro vita personale. Ci vuole sacrificio ma si può fare tutto, si può avere una famiglia, si può avere una propria vita personale e si può fare la professione che si vuole.  

Anche gli uomini hanno necessità di sacrificarsi se vogliono raggiungere certi obiettivi. Anche se nella maggior parte dei casi rimane ancora una sproporzione all’interno della famiglia, e a volte è difficile far comprendere come mai si vuole fare una professione così impegnativa pur avendo dei bambini. 

Diciamo che non siamo ancora arrivati al punto in cui fare un lavoro impegnativo avendo famiglia e bambini è una cosa normale.

Che consigli darebbe alle giovani? 

Un messaggio che vorrei dire alle ragazze è quello di seguire la propria passione.  

Fin da piccolina smontavo le bambole per capire bene il meccanismo con cui muovevano gli occhi, e poi le rimontavo. Volevo capire com’erano fatte le cose e mi interessava soprattutto capire come funzionava il corpo umano. Fare ricerca è sempre stata la mia passione.

Una cosa positiva che possiamo fare è quella di dire alle giovani che è possibile fare la carriera che si vuole, è possibile seguire la propria passione, fare una professione che sembra difficile e che tradizionalmente è riservata solo ad un uomo.

Le ragazze hanno bisogno di esempi positivi a cui ispirarsi.

 

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